Il film di Yimou, La Foresta dei Pugnali Volanti, da venerdì nelle sale italiane, è reduce da ben nove candidature ai Bafta britannici e si appresta a raccogliere ampi consensi agli Academy Awards.

Dopo il successo di Hero Zhang Yimou prova a ripetere l'operazione imbastendo un nuovo wuxia (cappa e spada cinese), ma l'operazione questa volta non gli riesce. Ambientato nella Cina del nono secolo, il film racconta della caccia di due guadie imperiali al capo dell'alleanza di ribelli detta dei Pugnali Volanti. Il plot è puramente funzionale ad una serie di combattimenti molto coreografici e a una buona dose di melò sentimentale. Ma se, usando lo stesso metro, Ang Lee con La Tigre e il Dragone e lo stesso Zhang Yimou con Hero, ero riusciti a creare un epos misurato, commovente ed esaltante allo stesso tempo, La Foresta dei Pugnali Volanti da troppo spesso l'impressione di essere un patchwork messo su in fretta e furia per sfruttare l'onda lunga di un successo. Una scelta di location spesso sciatta, un uso confuso della gradazione dei colori, dialoghi che (anche per colpa del doppiaggio italiano) sfiorano spesso il ridicolo, mettono in ombra l'onesto mestiere che comunque emerge dal film di Zhang Yimou.