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•• 09.09.04 ••
Venezia: verso al fine

kim_ki_dukSi avvia alla conclusione la Mostra del Cinema di Venezia con la sorpresa del film a sorpresa. Inserito con questo titolo nel programma (pare che sia una vecchia abitudine di Marco Mueller) Binjip di Kim Ki-Duk ha conquistato, quasi all'unanimità, stampa, critica e pubblico.
Il più profilico autore sud coreano (era a Cannes quest'anno con il suo ultimo film, mentre nelle sale italiane passava il suo penultimo film) ha presentato al concorso veneziano una di quelle perle orientali capaci di pulire lo sguardo di ogni cinefilo.

Un film quasi muto (i due protagonisti non spiccicano parola) sulla magia dell'amore e la semplicità dei rapporti umani. Un giovane ragazzo si introduce nelle case degli altri come fosse un turista. Si fa la doccia, si cucina un pranzo, si fotografa accanto alla fotografie di famiglie sparse per le case, si fa un bucato e alla fine aggiusta gli oggetti rotti che trova in giro. Ma in una delle case che visita si trova una donna, silenziosa e trista, malmenata dal marito. Si vedono e si conoscono; lui la protegge dalle violenze del marito e fuggono insieme, alla conquista di altri appartamenti. Presi dalla polizia saranno divisi, ma lui imparerà a farsi invisibile per poter tornare a vivere insieme a lei.

Binjip è un film pulitissimo, leggero e divertente che ha avuto l'incredibile merito di purificare gli occhi dei festivalieri, ormai troppo pieni di immagini forti e contrastanti tra di loro. Molti di fronte all'opera di Kim Ki-Duk hanno avvertito la stessa piacevole sorpresa che qualche anno fa accolse Hana Bi di Takeshi Kitano, film che nella sua lievità ha molto da spartire con questa perla sud coreana. Kim Ki-Duk è, insieme a Mike Leigh e Miazaki, uno dei (nostri) favoriti per la vittoria del Leone d'Oro.



Sempre in concorso è passato l'ultimo film di Wim Wenders, Land of Plenty. La terra di cui si parla nel titolo è l'America. Terra in cui torna la protagonista del film Lana, pacifista e figlia di un missionario religioso, alla ricerca dello zio Paul, un reduce del Vietnam, ossessionato dalla paranoia e dagli arabi. Il simbolismo sulle due anime dello spirito americano è anche troppo smaccato e Wenders non va molto oltre, anche se gli va riconosciuta la modestia con cui affronta il tema. Si tratta, in fondo, di una umanissima dichiarazione d'amore sofferto per l'America, una terra che amiamo amare per quanto difficile sia.



Terzo italiano in concorso, Gianni Amelio con Le chiavi di casa. Tratto dal romanzo di Giuseppe Pontiggia, il film del regista calabrese racconta del tentativo di Gianni (Kim Rossi Stuart) di riallacciare un rapporto con il figlio disabile Paolo (Andrea Rossi). In un viaggio a Berlino, per alcune cure in un ospedale specializzato, Gianni attraversa tutte le fasi del nuovo rapporto, dal timore e l'imbarazzo fino all'affetto e al dolore. Amelio, tanto per cambiare, dimostra di essere un grande autore, capace di costruire un film di altissima qualità. Paradossolmente però questa volta si sente troppo la tecnica dell'autore. In molte parti si avverte troppo chiaramente la scritture di Rulli e Petraglia ed è come se lo schermo si aprisse per mostrare troppo chiaramente i meccanismi del racconto.


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