Forse lo eravamo dimenticati, ma i festival del cinema servono anche a fare politica, infatti una maestosa onda di controinformazione si abbatte sull'attuale ospite della Casa Bianca in piena campagna elettorale.

Michael Moore galvanizza il pubblico (quindici minuti di applausi alla proiezione ufficiale) e monopolizza l'attenzione dei media con il suo Fahrenheit 9/11, un documentario sulle malefatte di George Bush, sui suoi affari con la famiglia Bin Laden, e sugli aspetti più scomodi della guerra in Iraq, ignorati dai grandi network televisivi.

E tutto questo mentre i precari del cinema francese, fino ad oggi tutelati da una legislazione che da al loro lavoro il giusto peso, rischiano di cadere in miseria a causa di una riforma dell'attuale governo. Qui siamo in Francia e quando si protesta non si va certo per il sottile e i manifestanti, prima occupano le strade di Cannes e, non ascoltati, decidono di interrompere le proiezioni del Marchè per far sentire le loro ragioni. Intervento dei flick francesi e conseguenti feriti all'ospedale.

Ma Jean Luc Godard può così finalmente dimostrare la differenza tra la sua generazione e i cineasti di oggi e si porta i manifestanti in conferenza stampa perchè abbiano finalmente il palco che si meritano.

Ken Loach gli da man forte e il festival si risveglia accorgendosi di avere anche una coscienza politica. E aumentano le possibilità per un palmares dal forte segnale politico, anche se (almeno così si mormore negli angusti corridoi del Palais) il presidente di giuria Quentin Tarantino cerchi in tutti i modi di evitarlo.

Ma sarà probabilmente difficile, con manifestanti per la strada e Michael Moore per il festival, tenere a freno la battagliera giurata Emanuelle Beart.