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•• 04.11.03 ••
Scott Ross a Virtuality

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Secondo giorno a Virtuality Conference, la tre giorni torinese dedicata a realtà virtuale, effetti digitali e cinema 3D. Dopo aver inaugurato con Gino Acevedo, che ha mostrato come è riuscito a trasformare Gollum da personaggio del romanzo di Tolkien in uno dei protagonisti principali del film di Peter Jackson la Virtuality Conference ha ospitato Scott Ross, fondatore, insieme a James Cameron e Stan Winston, di Digital Domain e vincitore di due premi Oscar, per Al di là dei sogni e Titanic.

E l'ospite americano non ha certo annoiato l'attento pubblico torinese. "Volete proprio saperlo?" ha esordito Scott Ross "A me degli effetti speciali non frega proprio nulla. E la tecnologia mi annoia da morire, perfino quando sono io a parlarne?. Con questa dichiarazione, decisamente controtendenza, il fondatore di Digital Domain ha fatto sobbalzare tutto l'uditorio.

Ma dietro l'ironia iniziale di Ross non c'è solo un'abile manovra oratoria per conquistare l'attenzione del pubblico. Newyorchese di origine, aspirante musicista jazz in gioventù ("Sono stato anche tecnico del suono nel gruppo di Miles Davis: ma con lui si parlava di tutto, fuorchè di musica"), Ross ha rivelato di aver iniziato ad occuparsi di effetti speciali non certo per vocazione, quanto perchè allora era il modo più facile per entrare nel cinema. "Quello che mi ha sempre interessato più di ogni altra cosa - rivela - era la possibilità di raccontare delle storie. Sin da quando abbiamo creato Digital Domain, dopo anni di lavoro nella Industrial Light and Magic di George Lucas, ho sempre pensato che il vero scopo di uno studio di effetti visivi dovesse essere quello di produrre contenuti in proprio, e di guadagnare quindi con la proprietà intellettuale delle storie e anche dei software sviluppati per realizzarle, invece di limitarsi a gestire il budget che le major mettono a disposizione per i visual effects di film in cui il costo maggiore è invece rappresentato dai cachet milionari delle star del box office". E giù una sfilza di statistiche sui film di maggiore incasso degli ultimi anni, che Ross snocciola venendo sinteticamente al dunque. E cioè "I venti maggiori successi al botteghino, con la sola eccezione del Re Leone, sono film con effetti speciali. Ma anche molti dei peggiori flop non hanno tratto giovamento dalle meraviglie della computergrafica, nè dall'impiego di attori superpagati".

Il modello di business che Ross persegue, e che l'ha guidato nel suo primo film come produttore ("S'intitola The Secondhand Lions, non ha quasi effetti e si è avvalso di un cast di attori bravissimi, ma non per questo eccezionalmente costosi, tra cui Robert Duvall e Michael Caine"), mira invece alla realizzazione di film con un budget medio tra i 60 e gli 80 milioni di dollari, contro i 120 di megaproduzioni come l'ultimo Matrix. "Il fatto è - spiega - che gli executive oggi alla guida delle major non hanno la più pallida idea di come si racconti una storia per il grande schermo. La loro prima preoccupazione è assicurarsi l'attore da 19 milioni di dollari, e solo quando le riprese stanno per iniziare - invece che pensarci già in fase di sceneggiatura - si ricordano finalmente del budget per gli effetti visivi. Per questo molti studi di service digitali nascono e muoiono in pochi anni: a tali condizioni, creare continuamente immagini mai viste prima non rende, perchè i tecnici sono molto costosi. E i registi stessi, Jim Cameron e Steven Spielberg compresi, sono tutt'altro che degli esperti di artifici visivi, eppure pretendono di sapere come si debbono realizzare. Quando guidi un taxi ed è il cliente a indicarti la strada, se incontri traffico èaffar suo: il tassametro corre. Nel nostro caso, invece, qualunque strada fai, i soldi a disposizione sono quelli e basta". Secondo Ross, il primato della storia è il segreto del successo della Pixar di John Lassiter, uno che sa cosa significhi raccontare per immagini: "Il suo è un esempio di approccio genuinamente imprenditoriale, dove l'uso del 3D è giustificato dalla storia. » inutile mettere in cantiere cento progetti contemporaneamente, come fanno altri, se poi finisci per portarne avanti solo alcuni. La nostra politica è invece quella di scegliere pochi film, solo quelli che veramente ci interessano, e svilupparli tutti. Perchè io sono un cineasta, e la cosa che per me conta è fare film".

E chissà se la strada imboccata da Ross e da Digital Domain, oltre a segnare una nuova tappa nell'evoluzione del linguaggio cinematografico, non finirà anche per incrociarsi con la giovane carriera di qualcuno dei registi europei dei tre cortometraggi in 3D premiati lunedì pomeriggio con il Virtuality Animation Award, concorso molto apprezzato dal pubblico e organizzato in collaborazione con ARCIPELAGO - Festival Internazionale di Cortometraggi e Nuove Immagini, Alias e LUMIQ Studios. Sui dieci minifilm selezionati, la prestigiosa giuria composta tra gli altri da Gino Acevedo (Weta), Luca Prasso (PDI/Dreamworks), Pepe Valencia (Sony Imageworks) e Indira Guerrieri (Industrial Light and Magic) è rimasta particolarmente colpita dalle scatenate avventure del porcellino Pigly dei franco-belgi Philippe Taillez e Sandrine Auvertine (primo premio: una workstation offerta da LUMIQ e una copia del software di animazione 3D Maya Unlimited offerta da Alias), dal sofisticato omaggio al cinema di Tex Avery Tim Tom dei francesi Cristel Pougeoise e Romain Segaud (secondo classificato: vince una copia di Maya Unlimited) e da Heterogenic, divertente e attualissima odissea di un chicco di mais transgenico realizzata dagli italiani Raimondo Della Calce e Primo Dreossi (terzo, vince una copia di Maya Complete).


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